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"Paese mè, 'n te pozze mai scurdà ...".Le semplici, toccanti parole della celeberrima canzone popolare abruzzese "Paese mè", del M.o Antonio Di Jorio, sono l'espressione più genuina per descrivere il profondo ed indissolubile vincolo affettivo che lega ogni uomo, per tutta la sua esistenza, al paese natio.
Questo sito è dedicato a tutti gli abruzzesi che vivono lontano dalla loro terra e si propone, per quanto possibile, di offrire loro le immagini più significative dei luoghi in cui hanno visto la luce e mosso i primi passi.
 
 
 
 
 

La leggenda di Maja

Il Gigante che dorme

Il Gran Sasso d'Italia (2.912 m., la vetta più alta degli Appennini), soprannominato fin dalla notte dei tempi 'Il Gigante che dorme'

 

 

Maja era la maggiore e la più bella delle Plejadi, le sette gigantesche ninfe-dee figlie del titano Atlante e della ninfa oceanina Plejone.

Per la sua straordinaria bellezza fu amata da Zeus e dall’unione con il re degli dei nacque, in una grotta del monte Cillene, in Arcadia, un meraviglioso bimbo, a cui fu dato il nome di Ermes.

Con il passare degli anni, Ermes, unica ragione di vita di Maja, divenne più veloce del vento e crebbe talmente tanto da non essere chiamato più con il suo nome, ma semplicemente "il Gigante".

Purtroppo, un giorno il giovane titano rimase gravemente ferito durante una sanguinosa battaglia contro altri titani, ma il compassionevole Fato volle che "il Gigante", nonostante le mortali ferite, riuscisse a sfuggire ai nemici che lo inseguivano e a tornare faticosamente a casa.

Maja, disperata per le condizioni del figlio, consultò l'oracolo. "Tuo figlio potrà salvarsi", sentenziò il veggente, "solo se sarà curato con un'erba miracolosa, che nasce al di là del mare, su un'alta montagna chiamata Grande Sasso".

La ninfa caricò il figlio moribondo su un enorme carro e, insieme ad alcuni servi, partì immediatamente alla ricerca dell’erba miracolosa. Presero il mare su una immensa zattera e dopo alcuni giorni di drammatica navigazione a causa del mare agitato, quando già si intravedeva la costa, una gigantesca onda distrusse l’imbarcazione e tutti i servi perirono. Maja, che era una straordinaria nuotatrice, riuscì a far aggrappare il figlio a un grosso frantume di legno, grazie al quale Ermes rimase miracolosamente a galla fino all’approdo sulla spiaggia di Orton, l’odierna Ortona.

Dopo aver chiesto informazioni a un vecchio pescatore, la dea si caricò l’amato figlio sulle spalle e, curva sotto l’immane peso, si mise faticosamente in cammino verso i maestosi monti che si stagliavano all’orizzonte.

Attraversò verdi colline e lussureggianti vallate e finalmente giunse sulla magica montagna chiamata Grande Sasso. Ma, ahimè, il terreno era coperto da così tanta neve che ogni tentativo di trovare l’erba miracolosa fu vano. E l’adorato Ermes, vinto dalle molteplici ferite, le strinse affettuosamente la mano e spirò tra le sue braccia.

Distrutta dal dolore, Maja vegliò a lungo il corpo senza vita del figlio. Poi, con immensa fatica, lo trascinò fin sulla cima del Grande Sasso e lì lo adagiò, affinché fosse il più possibile vicino agli dei.

Dopo il distacco da Ermes, la ninfa, in preda alla disperazione, cominciò a vagare tra gli alti monti innevati, senza una meta. Una sera, mentre infuriava la bufera, trovò rifugio in una grotta. Al mattino aveva smesso di nevicare e grande fu la commozione di Maja quando, uscendo dalla grotta, vide sulla sommità dell’alto monte posto a settentrione, il Grande Sasso, il titanico corpo di Ermes che, ammantato fino alle spalle da una spessa coltre bianca, sembrava solo addormentato, mentre il suo viso si stagliava nell’azzurro del cielo.

La dea non lasciò più quella grotta, che la faceva sentire così vicina al figlio, e spesso, di notte, si alzava per guardare il viso del Gigante risplendere al chiarore della luna.

Quando Maja morì, i pastori la vestirono con ricche vesti e la seppellirono nel luogo dove aveva vissuto per tanti anni, ricoprendo la tomba con un folto tappeto di fiori profumati e, per immortalarne la memoria, chiamarono "Majella" il grande massiccio montuoso.

Anche la montagna che l’aveva ospitata, commossa dalla triste storia, volle perpetuare nella memoria degli uomini il ricordo della bellissima e sfortunata dea, assumendo la forma di una donna distrutta dal dolore, supina e con lo sguardo rivolto al mare. In seguito, il popolo abruzzese eleggerà quel maestoso monte a simbolo della propria terra, venerandola come "montagna Madre".

Ancora oggi i pastori raccontano che sulla Majella, quando infuria la bufera, insieme all’urlo del vento e all’ululato dei lupi, sembra di sentire anche il grido disperato di Maja che invoca il figlio Ermes.

La Majella, con i 2.795 m. del Monte Amaro, è la seconda montagna più alta dell’intera catena appenninica, sopravanzata solo dal maestoso Gran Sasso (2.912 m.), soprannominato fin dalla notte dei tempi "il Gigante che dorme" appunto perché sulla sommità è facilmente distinguibile - soprattutto al tramonto e guardando da levante (da Atri, in particolar modo) - il gigante Ermes, figlio della bellissima ninfa Maja e di Zeus, re degli dei, disteso nel placido sonno eterno.

Chi viene nella nostra meravigliosa città ducale e contempla la maestosa catena del Gran Sasso d’Italia e l’imponente massiccio della Majella è convinto di ammirare solo spettacolari ammassi di dura roccia, che nascondono verdi boschi, immensi altopiani, impetuosi corsi d’acqua, suggestivi borghi, stupende abbazie, antichissimi eremi e inespugnabilicastelli. Non sa che i due monti sono anche parte e custodi eterni della struggente leggenda che narra l’immenso amore di una madre per lo sventurato figlio.

Antichissima leggenda popolare abruzzese rielaborata da Vincenzo Ferretti

Il massiccio della Majella (2795 m., seconda vetta degli Appennini), la 'Montagna Madre'

Il massiccio della Majella (2.795 m, seconda vetta della catena appenninica), la "montagna Madre".

 
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Data prima pubblicazione (come "Viaggio in Abruzzo.it"): Marzo 2007

Data nuova pubblicazione come "WonderfulAbruzzo.com": anno 2025

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